Il Marro, detto anche "Cazzmarr" o "Cazzomarro"
Scritto da Angela
Inizio questo post col dire che mai e poi mai avrei pensato di preparare da sola il Marro. Si perché sebbene ormai sia difficilissimo da trovare già pronto, io ho il mio macellaio di fiducia che me lo prepara spesso.
Questa volta, invece, mi sono davvero impegnata a prepararlo da sola e, anche se il risultato non è stato proprio perfetto (io non ho la maestria del mio amico macellaio, purtroppo, a ognuno il suo! ), mi posso ritenere davvero soddisfatta. E quando l’ho detto ai miei parenti sono rimasti a bocca aperta: non è proprio cosa di tutti i giorni trovare una ragazza di 28 anni che prepara…il marro!
Si tratta di una ricetta antichissima e tradizionale della Puglia e del materano: ho scoperto, infatti, grazie alla bella Tinuccia, che il marro non è quasi per niente conosciuto nel potentino.
Il Marro non è altro che un grosso involtino di interiora di agnello, avvolto nella reticella dell’agnello stesso e legato con le budella. In pratica, sarebbe una versione grande degli “gnimmiriedd” (che un giorno vi farò vedere in foto), ossia piccoli involtini di interiora tipici delle mie parti. Anche se, come vedremo, una piccola differenza tra il marro e gli gnimmirieddi c’è: il primo, infatti, è condito al suo interno anche con pecorino, prezzemolo ed aglio, mentre i secondi non hanno nezzuna speziatura.
Devo dire, però, che questo post è stato scritto a più mani, coinvolgendo altre tre blogger a me molto vicine (e non solo geograficamente!): oltre a Tinuccia, anche Gea (meglio conosciuta come “Rastamamma” su Cookaround) e…Ornella! Perché ho avuto bisogno del loro aiuto? Beh, per capire l’origine del nome dialettale di questa ricetta. Il Marro, infatti, in dialetto viene chiamato ” ‘U Cazzmarr“, ovvero Cazzomarro.
Ora, io ho sempre pensato che fosse stata aggiunta la parola “cazzo” a “marro” per via della forma evidentemente fallica dell’involtino. Anche le mie nonne mi hanno confermato questa mia supposizione: per loro questa forma dialettale deriva proprio dalla forma dell’involtino, che riprendeva quella dell’organo genitale del montone o del toro.
Chattando con Gea ed Ornella, però, è venuta fuori un’altra ipotesi. “Cazz” nel nostro dialetto deriva anche da “cazzare” ovvero “schiacciare“, pertanto il “cazzmarr” non è altro che un grosso marro di pezzi di interiora cazzate, ossia schiacciate. E devo dire che questa è l’ipotesi più plausibile. Del resto, se guardiamo l’ipotesi etimologica della parola volgare “cazzo” da parte di Antonio Lupis nel 2002, secondo cui questo termine è connesso al verbo latino capitiare con valore di “infilare, mettere dentro con forza” (fonte: Wikipedia), risulta chiaro che il cazzmarr non ha nulla a che vedere con la forma fallica!
Anche se devo ammettere che mi piaceva molto la mia supposizione che aveva avuto una minima conferma nella conoscenza sull’argomento delle mie nonne, forse perché la vedo maggiormente rispondente ad una società contadina, con scarso o addirittura nullo livello di istruzione, e che usava coniare termini associando spesso gli oggetti ad altre forme.
Ma veniamo alla ricetta. Vi mostrerò e tenterò di spiegarvi come si prepara il marro, che una volta pronto, può essere cotto allo spiedo oppure al forno con patate e lampascioni. Io ho preparato proprio quest’ultima versione.
IL MARRO, O “CAZZMARR” O “CAZZOMARRO”
Ingredienti: (con circa 1Kg di frattaglie ho preparato 3 marri piccoli)
Per la preparazione del marro...
1Kg circa di Frattaglie d’agnello (polmone, fegato, cuore, animelle)
Budella d’agnello
Reticella d’agnello (che in dialetto materano si chiama “zappa”)
100 gr di pecorino lucano grattugiato
1 spicchio d’aglio
Prezzemolo e sale q.b.
Succo di 1 limone
E inoltre…
(per la preparazione di 1 dei 3 marri)
300 gr di lampascioni
500 gr di patate
1/2 bicchiere di vino bianco secco
1 spicchio d’aglio
prezzemolo e sale q.b.
olio extravergine d’oliva q.b.
Procedimento:
Lavate le budella in acqua tiepida e succo di limone, in modo da eliminare la loro untuosità. Ripassatele poi in acqua corrente, facendo scorrere l’acqua anche all’interno delle budella. Fatele scolare per bene. Sbollentate per un minutino circa la reticella d’agnello, scolatela e passatela immediatamente nell’acqua fredda. Fate scolare nuovamente per bene e tagliatela grossolanamente in rettangoli da circa 20 x 15 cm.
Tagliate a striscioline le frattaglie, salatele, sminuzzate finemente l’aglio e il prezzemolo.
Ora siete pronti per preparare il marro.
Stendete la reticella d’agnello e disponeteci le striscioline di frattaglie, poi abbondante pecorino, aglio e prezzemolo. Avvolgete la reticella come se doveste preparare un polpettone. Prendete ora le budella e legate prima le due estremità, in modo tale da evitare che le frattaglie fuoriescano e poi continuate a cerchi concentrici cercando di essere più omogenei possibile.
Pulite i lampascioni asportando la base e la radice e applicate un piccolo taglio a croce sulla base. Fateli bollire per un paio di minuti in acqua salata: in questo modo perderanno parte dell’amarognolo che li caratterizza e si ammorbidiranno leggermente e cuoceranno poi uniformemente alle patate ed al marro in forno.
Tagliate le patate a piccoli tocchetti, mettetele in un contenitore insieme al marro e lasciate insaporire il tutto per una mezz’oretta con una marinata composta dal vino bianco secco, olio extravergine d’oliva, aglio, prezzemolo e sale.
Disponete il marro in una teglia da forno con le patate, i lampascioni e quel che resta tella marinata. Aggiungete altri 3-4 cucchiai di olio extravergine d’oliva ed infornate a 180°C per circa 45 minuti, o comunque fino a quando la parte piu esterna apparirà dorata e croccante e fino a quando, infilando uno stecchino al centro del marro, non apparirà un liquido rosa chiaro.
Quando sarà cotto, fate riposare la carne a forno spento per una decina di minuti coperta da carta stagnola e poi servite il tutto su un piatto da portata.
Tagliate a fette e servite ai commensali insieme alle patate ed ai lampascioni. Buon appetito!
Ultimo aggiornamento 6 Maggio 2018
Angela hai spiegato la ricetta sia da un punto di vista “antropologico” che tecnico in maniera impeccabile, per me sei stata davvero bravissima, non occorre neppure una virgola in più, nè un punto in meno! Tutto perfetto! Un abbraccio!
P.S. Domandina cattivella: ma l’hai assaggiato dopo tutto quel lavoro?! :D
AHHHHHH.. e io che ti scrivevo mentre eri in stesura di questo papiro… Angela sei un portento.. bacius
spiegazione,foto e ricerca storica si fondono perfettamente assieme.Davvero un emozione leggere simili post..ti ringrazio davvero di cuore,mi è sembrato di essere tornata a Matera,che mi manca tantissimo nonostante l’abbia vista solo una volta. Ho già provato a chiedere al mio macellaio le interiora necessarie ma mi ha detto che almeno qui in Toscana non è possibile reperirle per leggi sanitarie,un dispiacere davvero grande:( mi sazierò di foto, grazie davvero!
@Rastamamma: grazie mille Gea per il contributo!
@Cuocapasticciona: tu puoi scrivermi quando vuoi e non disturbi mai…:)))
@Giulia:Grazie infinite per le tue parole. Effettivamente bisogna conoscere un fidato pastore, che conosca le sue bestie, sappia cosa mangiano… Se riesci a reperirle, provaci! Un bacio!
Salve, vi segnalo cche questa ricetta è stata presa, copiata, utilizzata senza mettere link e senza specificare che non è una propria ricetta a questa pagina facebook
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=252212021568552&set=a.132934833496272.21069.132178600238562&type=3&src=https%3A%2F%2Ffbcdn-sphotos-c-a.akamaihd.net%2Fhphotos-ak-snc7%2F581612_252212021568552_2021142192_n.jpg&size=641%2C960
@Daniela: grazie mille Daniela, sei stata preziosa! :*
anche in Molise si prepara un piatto simile, ricordo quelli di mia nonna
Ciao Enrico, è possibilissimo perché comunque siamo regioni confinanti e c’è “contaminazione”, anche nella cultura enogastronomica. Grazie per essere passato di qui. A presto
Ciao Angela
grazie per la ricetta e le informazioni sulla etimologia del nome.
Ho provato la ricetta con aggiunta di peproncino piccante e tochhetti di pecorino.
B R A V A!
Ciao Angela da materano, la proverò a giorni, ho acquistato un capretto intero e mi sono fatto dare più “zeppa” proprio con l’intento di fare u’cazzmarr. Mia zia di Pomarico mi aveva dato la ricetta e tutto il procedimento, ma non la trovo più…. Farò la tua.
P. S. Hai mai fatto la scarcedda?
Io si ed ho avuto i complimenti da tutti.
Il marro si prepara anche in Abruzzo, sicuramente perché legato alla Puglia per via della transumanza.