Conoscevi la leggenda del panettone di Milano? Ecco cosa non torna!
Quando si avvicinano le feste natalizie il panettone inizia a fare la sua comparsa nelle pasticcerie, nei supermercati e sulle tavole di tutti gli italiani.
Il panettone, come vuole la tradizione, viene affiancato da dolci varianti al cioccolato, ai frutti di bosco e persino al caffè.
La popolarità del panettone lo ha reso a tutti gli effetti il “re” del Natale ma, nonostante questa notorietà, non tutti conoscono bene la leggenda che circola rispetto alle sue origini.
A dir la verità di leggende ne circolano ben tre per questo abbiamo pensato di ricostruirle e provare a fare chiarezza sulla questione.
L’unica cosa certa è che le leggende tentano di spiegarne il nome e le origini mescolando aneddoti di fantasia e fatti realmente accaduti.
La versione di Ludovico Maria Sforza, detto il Moro
Quasi tutte le versioni sulle origini del panettone fanno riferimento ai personaggi vissuti a Milano durante il Rinascimento, motivo per cui almeno la data di nascita sembra essere piuttosto condivisa.
La prima che ti vogliamo raccontare, nonché quella più popolare, fa riferimento alla corte di Ludovico Maria Sforza, meglio noto come Ludovico il Moro.
Egli era signore di Milano verso la fine del 1400, precisamente nel 1495, quando alla vigilia di Natale radunò la sua corte per ricchi e lauti festeggiamenti.
Le cucine cuocevano a ritmi serrati finché qualcosa andò storto: il dessert. Tutto accadde a causa di Toni, un aiutante incaricato di sorvegliare le ciambelle dolci che erano in cottura in forno.
La leggenda narra che Toni, stremato dal lavoro, si addormentò facendo bruciare il dolce e per riparare al danno pasticciò in fretta e furia gli ingredienti che gli rimanevano: uova, burro, canditi e uvetta aggiunti agli avanzi dell’impasto per le ciambelle.
Il capo cuoco era scettico ma dovette ricredersi non appena i commensali assaggiarono questo dolce inventato così frettolosamente.
La storia iniziò a circolare per la città tant’è che il dessert prese il nome di “Pan de Toni” che, successivamente, divenne “panettone”.
Potrebbe interessarti: 5 cose che la storia del pandoro ha saputo insegnarci
La versione di Ughetto
Un’altra leggenda narra la vicenda del figlio di Giacomo Atellani, un signorotto che aveva ricevuto in dono da Ludovico il Moro il palazzo in cui risiedeva.
Il giovane figlio Atellani, il cui nome era Ughetto, si innamorò perdutamente della figlia del fornaio, la bella Adalgisa. Questo amore, tuttavia, fu osteggiato dal padre Giacomo perché la ragazza era di umili origini e per di più, la famiglia di lei, non era ben vista in città.
Per averla in sposa, quindi, Ughetto si fece assumere come garzone presso la bottega del fornaio e si impegnò al punto da provare a inventare una ricetta che potesse migliorare il pane con il fine di migliorarne la reputazione.
Perciò aggiunse zucchero e burro all’impasto del pane e il risultato che ne ottenne fu un dolce meraviglioso, profumato e saporito.
Allora decise di replicare l’esperimento aggiungendo uova e pezzetti di cedro candito realizzando un dolce ancora più squisito. Fu così che il dolce piacque talmente tanto da far diventare la bottega famosa in tutta la città.
Fu questo l’aneddoto che convinse gli Avellani a concedere il matrimonio di Ughetto ed Adalgisa e, quindi, come tutte le belle storie, la nascita del panettone di Ughetto si conclude con un dolce lieto fine.
Il nome del panettone, in questo caso, deriverebbe da “grosso pane” per via della forma bombata e della derivazione dell’impasto da quello del pane.
La terza versione: Ughetta e l’uvetta
Vi è un’altra versione, meno accreditata delle altre, che riterrebbe la nascita del panettone collegabile a suor Ughetta. Costei decise di rallegrare il Natale in convento in un modo molto particolare.
A quel tempo il convento viveva di fame e stenti per cui la suora decise di aggiungere zucchero e cedro candito all’impasto del pane da cui venne fuori un dolce morbido e profumato che oggi conosciamo, per l’appunto, come panettone.
Il nome deriverebbe anch’esso dalla trasposizione dell’impasto del pane a dolce fruttato ma non è tutto.
Ughetta e Ughetto, stando al parere degli esperti, sarebbero i nomi indissolubilmente legati al fatto che nel panettone vi sia l’uvetta.
Non a caso in dialetto milanese l’uvetta è chiamata “ughet”.
Leggi anche: Non solo panettone, ecco i dolci di Natale milanesi
Le origini del nome secondo le testimonianze storiche
La leggenda del panettone, tuttavia, comprende ulteriori colpi di scena. Di fatti Pietro Verri, storico del tardo ‘700, narra che il Panettone che conosciamo oggi sia nato per via di una celebrazione molto particolare.
Ci riferiamo alla cosiddetta “cerimonia del ceppo” che si teneva la notte di Natale. Durante la celebrazione si faceva ardere un ciocco di legno decorato con la frutta e sul quale veniva cosparso vino e ginepro per tre volte di fila.
Nel mentre la famiglia era riunita attorno al camino ed il padre spezzava il pane simbolicamente, dividendolo con i presenti.
Questo rito veniva celebrato da Galeazzo Maria Sforza che era solito spezzare pani grandi e gustosi davanti al camino, oltre a consumare carni grasse e contorni ricchi.
Dalla cerimonia del ceppo ai grandi pani
Sono i “grandi pani” ad aver dato origine al panettone, secondo quanto racconta Verri nelle sue ricostruzioni delle vite degli Sforza.
Di questa testimonianza si trova traccia anche durante il 1400 tra le varie testimonianze storiche pervenute sino a noi.
Difatti sembra che i forni avevano il permesso di cucinare pane di frumento, prezioso e costoso, solamente durante la notte di Natale.
Questo avveniva perché le Corporazioni avevano stabilito che la tradizionale suddivisione del pane per ricchi (pane bianco) e per poveri (pane di miglio e pan de mej) doveva essere interrotta durante il Natale.
Come simbolo di uguaglianza e carità, quindi, ricchi e poveri avrebbero dovuto consumare lo stesso pane che si chiamava Pan de Sciori o Pan de Ton e il cui impasto prevedeva zucchero, burro e zibibbo.
Da Pan de Toni a Panaton: la tradizione di San Biagio
Il nome ufficiale, tuttavia, risale all’inizio del 1600, quando nel primo dizionario milanese fu riportato il lemma “Panaton” che significava “Grande pane natalizio”.
Il vocabolario riporta lo stesso termine impiegato due secoli dopo come dolce a base di zucchero, burro e uvetta”.
La tradizione vuole che il Panaton fosse mangiato anche in occasione delle celebrazioni di San Biagio, il 3 febbraio.
Tale tradizione resta viva ancora oggi per cui le famiglie dovrebbero conservare il panettone fino a tale giorno, per mangiare l’ultima fetta dell’anno.
La tradizione deriva dalla leggenda secondo cui San Biagio, medico e vescovo del 1200, salvò un bambino che stava soffocando per aver ingerito una lisca di pesce facendogli mangiare un pezzetto di morbido pane.
Ancora oggi si mangia il panettone nel giorno di San Biagio come buon auspicio, per preservare la gola dai malanni.
Teoricamente si dovrebbe mangiare il panettone avanzato dalle feste ma questo non si verifica quasi mai perché le persone hanno preso l’abitudine di acquistare a prezzi ribassati le rimanenze di magazzino, ovvero i panettoni invenduti durante le feste.
Potrebbe interessarti: Fiasconaro: la storia della pasticceria siciliana che ha conquistato il mondo
Il panettone dalla tradizione a oggi
Gli esperti di storia lombarda perdoneranno la nostra drastica sintesi di una tradizione che abbraccia almeno quattro secoli e che, per esigenze di spazio, abbiamo raccontato ripercorrendo i punti salienti.
Nonostante questo i fatti che ti abbiamo narrato sono la dimostrazione che, nel nostro Paese, nulla si crea in cucina perché le nostre ricette sono il frutto di storie e tradizioni secolari che restano conservate nel tempo.
Ultimo aggiornamento 26 Maggio 2022